Il mito risale al I secolo a. C. ed è riportato nelle Metamorfosi di Ovidio (XIII,vv. 750 – 897).
Il pastorello Aci amava Galatea, ninfa delle acque, che dimorava nel mare antistante la costa acese. Ma ella era amata anche dal Ciclope Polifemo. Il Ciclope, un giorno, sorprese la candida Galatea adagiata sul petto di Aci; impazzito dalla gelosia, scagliò una parte del monte contro il suo rivale, seppellendolo. La ninfa pianse il suo amato e l’eco di quelli strazi giunse fino a Giove che donò al giovane nuova vita.
La roccia si aprì ed Aci fu tramutato in limpido fiume per riversarsi in mare a riabbracciare in eterno il suo amore. Nella versione di Ovidio è la stessa Galatea che opera il prodigio. Da questo mito nasce la numerosa famiglia delle Aci, paesi concentrati lungo il versante orientale dell’Etna: Aci Castello, Aci Catena, Aci Reale, Aci Trezza, Aci Bonaccorsi, Aci Sant’Antonio. Poi fu il re Filippo IV, nel 1642, a dichiarare Reale la città di Jaci, cioè suo demanio, l’attuale Acireale. Prima di Handel, l’infelice storia di Aci e Galatea era stata messa in musica da Charpentier (1660) e da Lully (1686). Nel breve soggiorno a Napoli (1708), Handel compose, su commissione, la cantata Aci, Galatea e Polifemo. Poi, in Inghilterra, compose per il duca Chandos l’opera, su libretto di John Gay, Aci e Galatea, la cui prima rappresentazione, nel 1718, fu proprio nel castello del duca.